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Rinuncia all'usufrutto e tassazione

  • 26/11/2024

RINUNCIA ALL’USUFRUTTO

Integra una donazione? E se si, è da considerarsi "provenienza donativa"

per l'immobile oggetto di rinuncia? E infine, quanto costa?

 

Innanzitutto, cos’è il diritto di usufrutto?

Immaginiamo il diritto di proprietà come il diritto più ampio che si possa avere su un bene. Lo chiarisce il codice civile, definendo la proprietà come il diritto reale che attribuisce al suo titolare il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.).

La piena proprietà è quindi il diritto che attribuisce al proprietario ogni più ampia facoltà su quel bene, anche volendo, si suol dire, quella di distruggerlo (naturalmente, il diritto del proprietario non può prescindere dalle norme di diritto pubblico, per cui se posso, ad esempio, distruggere liberamente un elettrodomestico di cui sono proprietario, non potrò distruggere un immobile, quindi demolirlo, senza aver prima ottenuto le necessarie autorizzazioni; l’art. 832, infatti, conclude con “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento”).

Il diritto di proprietà è quindi composto da una serie di facoltà, o meglio, dalla più ampia serie di facoltà possibili sul bene che ne è oggetto, quali, ad esempio, l’utilizzo diretto del bene (es. abitare appartamento o usare l’auto di cui si è proprietari), il godimento dei frutti (es. locando l’appartamento a terzi), “prestarlo” gratuitamente a qualcuno (si pensi al comodato d’uso), venderlo, donarlo, concederlo in garanzia (es. ipotecare l’appartamento o concedere in pegno un orologio), modificarlo (es. modificare una bicicletta o cambiare la destinazione d’uso di un immobile da appartamento ad ufficio), ecc.

Queste facoltà, o meglio, parte di queste facoltà, possono essere cedute a terzi, pur mantenendo la proprietà sul bene (cedere “tutte” le facoltà significherebbe cedere lo stesso diritto di proprietà). Sarà naturalmente una proprietà con facoltà più limitate, proprio in ragione della cessione di parte di queste facoltà: proprio per questo quella che rimane si chiama nuda proprietà.

Questo breve richiamo alle facoltà, quali componenti del diritto di proprietà, e alla possibilità di una loro cessione, introduce alla categoria dei diritti reali su cosa altrui, tra i quali vi è l’usufrutto.

Secondo la definizione del codice civile (art. 981 c.c.) il diritto di usufrutto dà all’usufruttuario il diritto di godere della cosa, dovendo rispettare la sua destinazione economica. L’usufruttuario può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti dalla legge.

Tornando al discorso delle facoltà, pensiamo al diritto di abitazione, analogo per certi versi all’usufrutto, ma più ristretto, ossia contenente una gamma di facoltà più limitata rispetto all’usufrutto. Il titolare del diritto di abitazione, infatti, potrà godere dell’immobile nel senso che lo potrà abitare, ma limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia (non potrà quindi, ad esempio, goderne i frutti concedendo il bene in locazione, come invece potrebbe fare l’usufruttuario).

Ecco quindi che, la concessione del diritto di usufrutto su un determinato bene, pensiamo ad immobile destinato ad ufficio, fa si che il beneficiario del diritto (usufruttuario) possa godere del bene con una ampia facoltà, “quasi” come se fosse il proprietario (che, spogliato di parte delle facoltà della proprietà, rimane, come detto, “nudo proprietario”). Potrà quindi usarlo direttamente per la sua attività professionale, oppure limitarsi a goderne i frutti affittandolo ad uno studio professionale, ecc. Il tutto con i limiti della temporaneità (non può durare oltre la vita dell’usufruttuario) e della immodificabilità della destinazione economica (l’usufruttuario non potrà, ad esempio, mutare la destinazione d’uso dell’immobile da ufficio a civile abitazione).

 

La durata dell’usufrutto e la sua rinuncia

L’usufrutto, quale diritto reale limitato, ha una durata che non può eccedere quella dell’usufruttuario. Quand’anche il titolare del diritto di usufrutto cedesse il suo diritto, cosa possibile se non esclusa dal titolo, la durata dello stesso sarà pur sempre commisurata alla vita del primo usufruttuario.

Nella maggior parte dei casi, il diritto di usufrutto viene costituito in favore dei membri della famiglia. L’ipotesi classica è quella del genitore che vuole donare l’immobile al figlio, ma allo stesso tempo essere sicuro di poter continuare a vivere in quella casa fin quando sarà in vita. Il genitore, quindi, donerà l’immobile al figlio ma riservando per sé il diritto di usufrutto vitalizio.

L’effetto sarà che, una volta venuto a mancare il genitore il diritto di usufrutto si estinguerà, determinando la riespansione del diritto di nuda proprietà in piena proprietà. In altre parole, il nudo proprietario tornerà ad essere pieno proprietario.

Può però accadere che l’usufruttuario possa avere interesse a rinunciare all’usufrutto, ad esempio:

- per far riacquistare la piena proprietà al figlio nudo proprietario (ma se fosse a scopo di vendita avrebbe poco senso, in quanto basta che nudo proprietario e usufruttuario intervengano entrambi all’atto di vendita, ciascuno per i propri diritti e congiuntamente per la piena proprietà);

- l’usufruttuario vuole acquistare un immbile nel medesimo Comune e chiedere le agevolazioni prima casa (uno dei requisiti per la prima casa è, infatti, “non essere titolare esclusivo o in comunione col coniuge di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione, su altra casa nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare”);

- il titolare del diritto di nuda proprietà vuole ipotecare l’immobile su cui vi è un diritto di abitazione, ma non essendo questo ipotecabile il rispettivo titolare vi rinuncia, ecc.

 

La tassazione della rinuncia all’usufrutto

La rinuncia al diritto di usufrutto a titolo gratuito è considerata dall’Agenzia delle Entrate, come confermato dalla Cassazione, un atto di liberalità indiretta, e pertanto oggetto alla medesima tassazione delle donazioni.

Ma attenzione, il riferimento alle donazioni attiene solo al profilo fiscale, non anche a quello sostanziale, nel senso che un immobile nella cui storia vi è stato un diritto di usufrutto rinunciato al quale è seguita la riespansione della piena proprietà, non è un immobile con provenienza donativa (confermato da ultimo dalla Cassazione 34561/2022).

La tassazione della rinuncia senza corrispettivo, equiparabile ad una donazione, è quindi quella tipica per questo negozio, ossia:

- Imposta di donazione: 4% per coniuge e parenti linea retta, 6% per fratelli e sorelle, 8% per il resto del mondo, al netto naturalmente delle rispettive franchigie (1 milione per parenti in linea retta, 100.000 per fratelli e sorelle, nessuna franchigia per il resto del mondo), sul valore del bene, con il minimo di euro 200;

- Imposta ipotecaria: 2% sul valore dell’immobile, con il minimo di euro 200

- Imposta catastale: 1% sul valore dell’immobile, con il minimo di euro 200

- Imposta di bollo: € 230

- Tassa ipotecaria: € 35

- Voltura catastale: € 55

A questi costi vanno aggiunti l’onorario del notaio, i contributi notarili, le spese di visura e l’IVA.

 

Quanto alla agevolazione prima casa, che permetterebbe di pagare le imposte di trascrizione (ipotecaria e catastale) non nella misura del 2%+1% ma nella misura fissa di 200+200, questa non sarebbe richiedibile in sede di rinuncia in quanto, come statuito dalla Cassazione e dall’amministrazione finanziaria (Interpello n. 525/2022), l’agevolazione prima casa sarebbe limitata ai trasferimenti immobiliari (nel nostro caso, alle donazioni) e non anche alle rinunce a titolo gratuito, essendo queste liberalità indirette.