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Modifica disciplina fiscale della caparra confirmatoria e acconto prezzo

  • 09/10/2024

Nuova disciplina dell'imposta di registro in materia di

CAPARRA CONFIRMATORIA e ACCONTO PREZZO

Il D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, recante "Disposizioni per la razionalizzazione dell’imposta di registro, dell’imposta sulle successioni e donazioni, dell’imposta di bollo e degli altri tributi indiretti diversi dall’IVA", ha apportato delle modifica fiscali, sia in merito alla imposta di registro in tema di caparra confirmatoria e acconto prezzo, sia in tema di imposta sulle successioni e donazioni.

Quanto all'imposta di registro in tema di caparra confirmatoria e acconto prezzo, la normativa prevede, ad oggi, un doppio binario, con l'imposta allo 0,5% per la caparra confirmatoria e il 3% per l'acconto prezzo.

Il D.Lgs. 139/2024 prevede che (...) alla Tariffa, Parte I (...) all’articolo 10, la nota è sostituita dalla seguente: «Se il contratto preliminare prevede la dazione disomme a titolo di caparra confirmatoria o il pagamento di acconti di prezzo non soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi degli articoli 5, comma 2, e 40 del testo unico, si applica l’aliquota dello 0,5 per cento o la minore imposta applicabile per il contratto definitivo. In entrambi i casi l’imposta pagata è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo».

Dal 1 gennaio 2025 - data di entrata in vigore della norma in commento - quindi:

1. l'imposta di registro avrà una unica aliquota dello 0,5% sia per la caparre confirmatoria sia per l'acconto prezzo;

2. la somma pagata a titolo di imposta di registro su caparra confirmatoria oacconto prezzo non potrà in ogni caso superare l'imposta di registro che si sarebbe dovuta pagare per il contratto definitivo.

La restituzione della caparra

Questa è una questione che non è stata affrontata dalla normativa. Rimane quindi la disciplina attualmente in vigore, ossia:

- se la restitiuzione della caparra deriva dalla risoluzione del peliminare per mutuo dissenso, sia ha l'imposta proporzionale con aliquota al 3% (Art. 9 Tariffa Parte I D.P.R. 131/1986);

- se la restituzione della caparra deriva da una clausola risolutiva espressa, la restituzione della caparra sconta l'imposta fissa di 200 euro (se gratuita, se invece è previsto un corrispettivo si applica il 3% sul corrispettivo), così come confermato dalla Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 403/2022, nella quale, testualmente:

"Con riferimento al trattamento tributario applicabile, ai fini dell'imposta di registro, all'atto di risoluzione si osserva che l'articolo 28 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevede che "1. La risoluzione del contratto è soggetta all'imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l'imposta proporzionale prevista dall'art. 6 o quella prevista dall'art. 9 della parte prima della tariffa.
2. In ogni altro caso l'imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell'imposta proporzionale, l'eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse".
Ai fini fiscali, occorre quindi distinguere l'ipotesi in cui è presente una clausola risolutiva espressa - contestuale al contratto originario ovvero stipulata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto, con le modalità indicate dalla norma - dall'ipotesi in cui le parti, mediante autonoma espressione negoziale, optino per la risoluzione del medesimo contratto originario:
- nel primo caso, si applica l'imposta proporzionale solo se per la risoluzione è previsto un corrispettivo e solo sull'ammontare di quest'ultimo; in caso contrario, si applica l'imposta in misura fissa;
- nella diversa ipotesi in cui la risoluzione dell'originario contratto sia realizzata mediante apposito negozio, la citata disposizione prevede la tassazione in misura proporzionale, da applicare alle prestazioni derivanti dalla risoluzione; la medesima tassazione proporzionale si applicherà, inoltre, all'eventuale corrispettivo della risoluzione.
Con riferimento a quest'ultima ipotesi, la Corte di Cassazione ha statuito che " in termini generali, ... , il mutuo dissenso è occasione del manifestarsi della stessa capacità contributiva espressa da un contratto a parti inverse (retrocontratto), talché, al di là dell'eccezione che il legislatore ha ritenuto di stabilire con il disposto dell'art. 28 (...) il mutuo dissenso deve essere assoggettato, ai sensi del secondo comma di questo articolo, all'imposta stabilita per il contratto base" (cfr. ordinanza del 5 ottobre 2018, n. 24506).
In senso analogo, l'ordinanza del 9 marzo 2018, n. 5745, con cui la Suprema Corte, ribadendo il proprio orientamento, ha affermato che "il mutuo dissenso, che è un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello originario, è soggetto ex art. 28, comma 2, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, alla regola residuale applicabile a tutti gli alti risolutivi di negozi giuridici che non trovino la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione)".